La psicoterapia della Gestalt

Che cos’è la  Psicoterapia della Gestalt
A cura della Dott.ssa Cinzia Colzi

La Psicoterapia della Gestalt nasce dalla Psicanalisi, per opera di Frederick Perls, psicoanalista ebreo tedesco, nel 1950 circa; Perls, partendo  da un’insoddisfazione verso le teorie freudiane, se ne allontana integrando creativamente il pensiero psicanalitico con varie correnti culturali, filosofiche e psicologiche del periodo, fra cui la fenomenologia, il costruttivismo, l’esistenzialismo, il pragmatismo, nonché la psicologia della Gestalt.
Proprio da quest’ultima teoria psicologica questo approccio riprende il suo presupposto fondamentale: la natura umana è organizzata in strutture o totalità, in Gestalt appunto, che, come nel caso della percezione visiva, tendono dinamicamente al loro completamento.

Proviamo adesso a spiegare il concetto di Gestalt e la sua dinamica di figura-sfondo: ogni organismo, inserito nel suo ambiente, presenta in qualunque momento un bisogno dominante, che diventa la figura di primo piano, che porta gli altri bisogni, almeno temporaneamente, a recedere nello sfondo. Il bisogno in primo piano è quello che comunque preme con maggior urgenza per il proprio appagamento e l’individuo sano è capace di soddisfare questo suo bisogno, per passare poi ad altro.

Se l’individuo è invece incapace di intuire i suoi bisogni dominanti o di manipolare l’ambiente in modo da soddisfarli, si comporterà in maniera disorganizzata e inefficace. Per la Gestalt  il nevrotico è appunto colui che è incapace di reagire in maniera creativa al presente e si fissa in un modo di agire automatico. Ha perso la sua libertà di espressione.

I comportamenti che il nevrotico mette in atto in modo ripetitivo, piuttosto che meccanismi senza scopo, vengono considerati dall’approccio gestaltico come tentativi di concludere una situazione rimasta incompiuta. Perls spiega proprio in questi termini le cosiddette fissazioni nevrotiche, come Gestalt incompiute che riemergono continuamente nell’aspettativa di raggiungere una conclusione. Il nevrotico, inoltre, trova difficile partecipare pienamente al presente, poiché  le questioni insolute del passato gli ostacolano la strada.

Ed ecco che qui entra in gioco la terapia della Gestalt, i cui presupposti fondamentali sono: la realtà nel qui e ora, consapevolezza e responsabilità della propria esistenza.

Mediante la terapia il paziente deve imparare a vivere nel presente, nel qui-e-ora, e le sedute terapeutiche devono costituire il suo primo esercizio in questo compito finora irrealizzato.
Si chiede al paziente di diventare consapevole dei suoi gesti, della sua respirazione, delle sue emozioni, della sua voce e delle sue espressioni facciali, nonché dei suoi pensieri pressanti: molte difficoltà del nevrotico sono dovute proprio alle sue aree di inconsapevolezza che non riguardano solo l’aspetto mentale, ma la persona nella sua interezza.
L’attenzione è tutta diretta all’esperienza: la terapia della Gestalt è una terapia sperimentale, piuttosto che verbale e interpretativa, per questo non viene chiesto ai pazienti di parlare dei loro traumi e problemi nell’area lontana  del passato e della memoria, ma di risperimentare i loro problemi e traumi nel qui-e-ora (Perls, 1977).
Così, prendendo come esempio il caso di un nevrotico la cui situazione incompiuta riguarda il lutto per la morte di un genitore, il terapeuta non chiederà al paziente di parlare della madre, né sarà nel suo interesse  spiegare al paziente i suoi meccanismi di fissazione: chiederà al paziente di parlare psicodrammaticamente  con la madre stessa.

Inoltre l’approccio gestaltico rimane ancorato al fenomeno, cioè a quello che si può osservare, senza ricorrere a teorizzazioni ipotetiche: la Gestalt lavora sui come, non sui perché!
I perché della nevrosi spiegano ben poco, potranno fornire un caprio espiatorio, ma non una risposta (Perls, 1977). “Le domande che iniziano con un “perché” non danno luogo ad altro che a risposte belle e pronte, a difese, a razionalizzazioni, a pretesti, e al delirio che un evento è spiegabile con una sola causa…Il “come” indaga sulla struttura di un evento, e una volta chiarita la struttura tutti i perché ricevono automaticamente una risposta” (Perls, 1977).

Una storia Sufi racconta di un uomo che una volta, tanto tempo fa, vagando lontano dal suo paese, andò a perdersi nel mondo noto come Terra degli Sciocchi.
Vide presto un certo numero di persone che fuggivano terrorizzate da un campo dove avevano cercato di mietere frumento. “C’è un mostro nel campo”, gli dissero, ma egli guardò e vide che si trattava di un’anguria.
Si offrì di uccidere il “mostro” per loro. Staccato il melone dal gambo ne tagliò una fetta e cominciò a mangiarla. La gente fu ancora più terrorizzata da lui di quanto non lo fosse stata dall’anguria. Lo cacciarono via con i forconi gridando: “Ucciderà noi dopo, se non ce ne liberiamo”.
Accade che in un altro giorno un altro uomo sperdendosi andò a finire nella Terra degli Sciocchi e le cose iniziarono alla stessa maniera. Quest’uomo, però, invece di offrire alla gente aiuto contro il “mostro”, fu d’accordo con loro nel giudicarlo pericoloso e allontanandosene in punta di piedi si guadagnò la loro fiducia. Trascorse con loro molto tempo nelle loro case finché non gli riuscì di insegnare a quella gente, a poco a poco, i fatti fondamentali necessari a renderli capaci non soltanto di non temere le angurie, ma persino di coltivarle.

Questa storia ci ricorda come “la Verità non libera le persone. I fatti non mutano gli atteggiamenti”( Kopp, 1972).
Il terapeuta si interessa allora sul come la persona si fissa, come si interrompe; si concentra sul modo in cui lascia incompleta la Gestalt. Con le sue domande amplia la consapevolezza del paziente, lo porta a vedere il proprio comportamento con maggiore chiarezza, a sperimentare se stesso, con i suoi limiti e possibilità, promuovendone la capacità di autosostenersi.
Secondo Perls questo processo è possibile nel momento in cui il paziente è disposto a ricollocarsi al centro della propria esistenza, recuperando il potere su se stesso e sui propri comportamenti, compresi gli aspetti disarmonici e contraddittori, assumendosi la responsabilità di quello che  sta facendo, del modo in cui produce i suoi sintomi. Solo assumendosi la responsabilità della propria vita, entrando in contatto con tutte le parti di sé, solo allora ha inizio la crescita, ha inizio l’integrazione, e la capacità di vivere in pieno la propria esistenza.

E vivere in pieno è in realtà la meta dell’approccio gestaltico: non si tratta esclusivamente di concentrarsi sui sintomi e sulla loro eliminazione, si tratta di molto di più e, come dice Paolo Quattrini, il fine della Gestalt consiste “nell’ incremento della vita spirituale, nell’accorgersi appunto di quello che succede, fra sé e gli altri, fra sé e sé, fra sé e i fiori, fra sé e le cose…tutti i fra che possono venire in mente” (Quattrini,2007).

La psicoterapia della Gestalt è un processo vivo, che cerca di alimentare la consapevolezza, il contatto del paziente nel qui ed ora, ne stimola la vitalità e aiuta la persona a creare il suo stile di vita e a riappropriarsi di ogni aspetto di sé.
Come affermano tre importanti esponenti della Gestalt, Perls ,Hefferline, Goodman, “il punto di vista gestaltico è l’approccio originario, naturale e non deformato alla vita, al pensare, all’agire e al senso dell’uomo”(1971).
Proprio il “senso”, il sentire, viene considerato un modo di conoscere particolarmente affidabile, perché affinato da milioni e milioni di anni di storia della vita sulla terra, ma che purtroppo gli esseri umani hanno la tendenza a sostituire con il pensare, utilizzando soprattutto questo per conoscere il mondo. Ecco l’importanza che la Gestalt dà al lavoro con le emozioni e col sentire: “se immaginiamo di sentire come una mano e di pensare come l’altra, risulta chiaro il vantaggio di usarle entrambe invece che una sola”(Quattrini, 2007).

Bibliografia

  • Kopp S.B.:  Se incontri il Buddha per la strada uccidilo, Astrolabio, Roma, 1972.
  • Perls F.: L’approccio della Gestalt. Testimone oculare della terapia, Astrolabio, Roma, 1977.

Perls, Hefferline & Goodman: Teoria e pratica della Terapia della Gestalt, Astrolabio, Roma, 1971.
  • Quattrini P.: Fenomenologia dell’esperienza,Zephiro Edizioni, 2007.

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Una risposta

  1. emidio ha detto:

    carissima cinzia….
    grazie e grazie….
    sinora era stato difficile trovare scritti sulla gestalt così chiari e semplici…..
    COMPLIMENTI !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
    prenderò dei pezzi del tuo articolo per manipolarli ed inserirli nella mia tesi di fine corso triennale di “master counseling”….sono un counselor….
    ti ringrazio ancora…
    buona vita
    emidio

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