Bullismo: il risultato della disinformazione

stop-bullismo-2Bullismo: il risultato della disinformazione
A cura della Dott.ssa Antonia Vanessa Bottiglieri

Chiara ha 12 anni e vive a Pordenone. Chiara non ha più voglia di andare a scuola e decide di lanciarsi dalla finestra della sua stanza, dal secondo piano. Niente è lasciato al caso quella mattina del 18 gennaio, un biglietto di scuse per mamma e papà e una per i suoi compagni di scuola: “Adesso sarete contenti”. Chiara è rimbalzata su di una tapparella al primo piano e cadendo a terra non ha perso la vita. Adesso, con un po’ di ossa sbriciolate, il morale sotto ai tacchi e lo zaino che pesa più d’angoscia che di libri, Chiara deve tornare a scuola.

Bullismo” è un termine che oggi conoscono tutti e al quale tutti, chi più e chi meno, sanno dare una definizione. Del resto, basta cercare sul dizionario per leggere che “è una forma di comportamento sociale di tipo violento e intenzionale, di natura sia fisica che psicologica, oppressivo e vessatorio, ripetuto nel corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate dal soggetto che perpetra l’atto in questione come bersagli facili e/o incapaci di difendersi”. Questo, nell’immaginario collettivo, si traduce immediatamente come: ragazzo arrogante e prevaricatore che prende in giro la ragazza grassa e con l’acne o il ragazzo timido e introverso, considerati più deboli.

Il bullismo, in realtà, è una forma di comportamento silente, a volte poco manifesto, su cui è difficile intervenire e, prima ancora, prevenire.

I primi studi sul bullismo appartengono ai paesi scandinavi degli anni Settanta, quando l’opinione pubblica norvegese venne scossa dal suicidio di due studenti non più in grado di tollerare le ripetute offese inflitte da alcuni loro compagni e, da allora in poi, il fenomeno è stato oggetto di una crescente attenzione da parte di esperti delle scienze sociali e della psicologia giuridica, clinica e dell’età evolutiva.

stop_bullismo-sEssendo il bullismo una forma di deviazione sociale, è giusto pensare che il suo modo di manifestarsi vada di pari passo con il continuo evolversi e il continuo cambiamento di stili di vita cui la società è sottoposta ecco perché, oggi, indagare in primis nei computer, smartphone e tablet, è diventato di fondamentale importanza.

Con l’avvento di internet, in particolare dei social network, infatti, la società è cambiata; sono cambiate le relazioni, è cambiata la comunicazione e la mancata percezione degli effetti di una comunicazione virtuale alimenta il bullismo nel web, dove insulti e aggressioni trovano un’amplificazione immediata tanto da dare vita ad una nuova forma di bullismo il “cyberbullismo” un fenomeno di aggressione da parte di un soggetto (cyberbullo) che, in rete, colpisce la vittima tramite la diffusione di materiale denigratorio o la creazione di gruppi contro la stessa e che si lega all’utilizzo dei new media sempre più diffuso tra i preadolescenti.

Negli ultimi mesi, le notizie di cronaca si sono occupate largamente di episodi di bullismo e non ci sono dubbi sul fatto che a pagarne caro il prezzo siano le vittime di queste circostanze, ma è nostro dovere rilevare ed analizzare anche il comportamento del bullo prima di colpevolizzarlo. Partiamo dal chiederci: perché un ragazzo diventa un bullo? Il motivo è che il dominio sull’altro, il fatto di provocargli stati d’animo spiacevoli e umilianti e assoggettarlo a sé facendo leva sulla paura, è un surrogato della stima di sé. Il bullo (​o la bulla) costruiscono un senso di potere personale sulle spalle della debolezza provocata negli altri.

Chi si comporta da bullo, contrariamente alle apparenze, non è una persona forte e sicura di sé ma esprime insicurezza, scarsa autostima e immaturità. E, come le proprie vittime, ha bisogno di aiuto, e non di essere condannato senza appello e isolato. Anche perché, in molti casi, la responsabilità del suo comportamento non è completamente sua, ma in buona misura anche dell’ambiente familiare e sociale” sono le parole di Margherita Spagnuolo Lobb, psicoterapeuta e direttore dell’Istituto di Gestalt HCC Italy in un intervento in occasione del Safer Internet Day, la giornata europea dedicata alla sicurezza in rete dei ragazzi tenutasi il 9 febbraio.

Il programma Safer Internet si propone di promuovere l’utilizzo sicuro di internet nonché delle nuove tecnologie on-line, con particolare attenzione nei confronti dei bambini, lotta ai contenuti illegali e in generale, contenuti non desiderati dagli utenti, in un approccio di collaborazione coordinato dall’Unione Europea. Un modo di fare prevenzione davvero civile, un modo di occuparsi della questione a 360 gradi, un modo per sensibilizzare i cittadini, grandi e piccoli, alla corretta informazione.

In Italia il programma è scortato dal disegno di legge della senatrice Elena Ferrara “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo” approvato all’unanimità il maggio scorso ed attualmente in corso di esame in commissione. Intanto, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) ha istituito un numero verde 800.669.696, attivo dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 19, a cui rispondono operatori specializzati come psicologi, insegnanti e personale del Ministero. Il numero verde è stato attivato, nel corso della campagna di comunicazione “smonta il bullo”, per segnalare casi, domandare informazioni generali, chiedere come comportarsi in situazioni critiche e ricevere sostegno.

Il bullismo è un fenomeno che si presenta in contesti gruppali e quindi, ai fini della prevenzione e dell’intervento, agire sull’intera comunità risulta maggiormente efficace. La vera prevenzione, infatti, comincia in famiglia ed è supportata da alcune strategie che la scuola può adottare e che riguardano la supervisione dei docenti durante gli intervalli e la mensa e una riorganizzazione degli spazi ricreativi. Inoltre, in base all’età degli alunni, gli insegnanti possono organizzare attività curriculari ed extracurriculari che permettano di far lavorare i bulli e le vittime sullo sviluppo della comprensione e sulla regolazione emotiva, promuovendo l’empatia, l’assertività e tutte quelle emozioni che spetterebbe allo psicologo scolastico modulare se ce ne fosse uno in ogni istituto


vanessa-bottiglieriAntonia Vanessa Bottiglieri è laureata in Scienze e Tecniche di Psicologia Clinica e della Salute presso l’Università degli Studi di Firenze e attualmente frequenta il secondo anno del corso di laurea magistrale in Psicologia Clinica e della Salute e Neuropsicologia.

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