Il genere e la parità. Perché non possiamo definirci uguali.


Il genere e la parità. Perché non possiamo definirci uguali

Le differenze di genere si evidenziano in svariati contesti; dalla scuola, alla tipologia di abbigliamento, dagli interessi alla scelta della carriera, fino ad arrivare al linguaggio e alle rappresentazioni sociali.

Diversi studi condotti tra gli anni ’70 e ’80 finalizzati a confrontare le rappresentazioni femminili e maschili nei libri per bambini, evidenziano una netta discrepanza tra i due sessi. Gli uomini appaiono forti, sicuri di sé nelle loro azioni avventuristiche, mentre le donne, bisognose di protezione, deboli e dedite a faccende domestiche (Lobban, 1975).

Altre ricerche condotte verso la fine degli anni ’80 (Hardy, 1989) sottolineano una compresenza numerica di personaggi maschili e femminili in un libro di scienze per le elementari (Look); nonostante ci sia una parità di numero, Hardy evidenzia che sono proprio le donne ad essere dipinte come le più incompetenti e stupide, un fattore che potrebbe influenzare il rendimento scolastico delle bambine nei compiti scientifici.

Più o meno negli stessi anni, nelle riviste e nei giornali nordamericani, le rappresentazioni femminili più gettonate sono associate ad azioni subalterne e sottomesse: nelle fotografie, la donna viene spesso ritratta in una posizione più bassa rispetto all’uomo, come a dare l’idea dell’inferiorità della condizione (Goffman, 1976).

Tuttavia, lo stereotipo di genere non verte solo sulla polarizzazione superiorità/inferiorità. Nelle riviste femminili degli anni ’80 e ’90 si assiste ad una promozione di un’identità femminile, prototipica del genere, in cui gli ideali vertono sulla cura delle relazioni interpersonali. Ballaster e colleghi (1991), analizzano come i contenuti degli articoli riguardino i consigli per migliorare l’aspetto fisico e per mantenere le relazioni interpersonali, rafforzando l’immagine tradizionale della donna dedita alla famiglia e alla cura dei rapporti, una rappresentazione condivisa che traccia una linea di confine tra i comportamenti socialmente accettabili e quelli riprovevoli. In questo senso Ferguson (1983), ripercorrendo tre riviste femminili (“Woman”, “Woman’s Own” e “Woman’s Weekly”) nelle edizioni che comprendono il periodo dal 1949 al 1980, ritrova alcuni tratti ricorrenti che delineano il prototipo della brava moglie. La donna “adatta” non deve solo saper mantenere un rapporto con il marito e i figli, ma deve anche riuscire a superare ogni tipo di difficoltà, sopportare le sofferenze aiutandosi da sola e diventare più attraente per il partner. La cattiva moglie, al contrario, è colei che non sa prendersi cura del proprio aspetto fisico, della famiglia e del matrimonio, e, in molti casi, la donna che antepone il lavoro alle esigenze familiari.

Questi temi si acutizzano con il passare degli anni, in concomitanza dell’avanzamento della carriera della donna. Secondo l’autrice il messaggio è chiaro: le maggiori possibilità professionali non portano a ristabilire le priorità, ma ad impegnarsi di più per mantenere l’equilibrio familiare e matrimoniale. In altri termini, la carriera sarebbe solo un accessorio, ciò che conta è sempre la dedizione alla famiglia.

Si evince così l’inevitabile divario che sfocia nelle relazioni interpersonali. Come sostiene Berger (1972) le pose in cui gli uomini e le donne vengono ritratte nelle fotografie delle riviste trasmettono diversi messaggi. L’uomo è raffigurato mentre esegue delle azioni specifiche, mentre la donna sembrerebbe fissare lo spettatore, allo scopo di attirare l’attenzione sull’aspetto fisico e sulla bellezza estetica. Fenomeni del genere, secondo l’autore, porterebbero a considerare gli uomini come “esseri che agiscono” e le donne come “esseri che appaiono”.

Più in particolare, le donne, fin dalla fanciullezza, verrebbero educate a guardare se stesse con gli occhi dell’altro sesso, e a porre un’eccessiva attenzione alla cura di ogni singola parte del corpo per apparire più desiderabili. In questo senso, la bellezza estetica costituirebbe un fattore fondamentale per il valore di sé e il successo sociale.

L’attenzione alla cura del corpo e alla cosmesi costituisce un fattore fondamentale nella relazione. Secondo la prospettiva psicodinamica di Easthope (1986), l’attrazione dell’uomo per le donne che incarnano l’ideale della femminilità, come Marilyn Monroe, curate nell’aspetto e dalle forme pronunciate, avrebbe origine dalla necessità di distinguere la mascolinità dalla femminilità e di eliminarne ogni traccia di similitudine attraverso la ricerca delle differenze. Il bisogno di creare una separazione, secondo l’autore, nascerebbe dall’ansia di non essere all’altezza del genere femminile che possiede un forte potere sessuale: quello di generare una potenziale perdita di controllo.

Allo stesso modo, anche nel linguaggio esistono delle differenze sostanziali. In alcune ricerche è stato considerato l’effetto dei vezzeggiativi come “amore” o “cara” usati dagli uomini nei confronti delle donne poco sconosciute. Secondo Cameron (1992), nella maggioranza dei casi è l’uomo a rivolgere appellativi simili alle donne e a ricorrere ad atteggiamenti di controllo e affettuosità, come avviene più comunemente nel rapporto con i bambini. Anche le parole offensive e i loro contenuti cambiano quando si sposta l’attenzione da un genere all’altro. Le ricerche di Anderson (1988) mostrano che le calunnie rivolte alle donne siano predominanti e riguardino principalmente la promiscuità sessuale. Al contrario sembrerebbe che gli oltraggi alla controparte maschile si presentino in minoranza e si concernerebbero il tema dell’omosessualità e dell’effeminatezza. Un dato interessante illustrato da Anderson, riguarda la fase evolutiva: le donne utilizzerebbero offese sull’orientamento sessuale e sugli atteggiamenti femminilizzanti verso gli uomini principalmente in adolescenza, per un’esigenza più identitaria che denigratoria.

Alla luce dei dati illustrati, la parità dei sessi sembrerebbe una questione ardua e dibattuta in diversi ambiti. Si potrebbe pensare che, per certi versi, la differenziazione tra i generi costituisca un punto di forza, poiché permette la caratterizzazione della femminilità e della mascolinità come due entità distinte e prototipiche dei sessi. D’altra parte, occorre considerare l’inevitabile influenza del sessismo, che contribuisce ad aumentare il divario tra i diritti e i doveri degli uomini e delle donne nelle diverse sfere dell’esistenza, come quella lavorativa o interpersonale.

Bibliografia

  • Anderson, R. (1988) The Power and the Word: Language, Power and Change, London,
  • Ballaster, R., Beentham, M., Frazer, E., Herbon, S (1991), Women’s Worlds: Ideology,
  • Femininity and the Woman’s Magazine, Basingstoke, Macmillan.
  • Berger, J. (1972) Ways of Seeing, London Penguin.
  • Burr, V., (2000) Psicologia delle differenze di genere, Il Mulino, Bologna.
  • Cameron, D. (1992) Feminism and Linguistic Theory, Basingstoke, Macmillan.
  • Easthope, A. (1986) What a Man’s Gotta Do: The Masculine Mith in Popular Culture, London, Paladin.
  • Ferguson, M. (1983) Forever Feminine: Women’s Magazine and the Cult of Femininity, London, Heinemann.
  • Goffman, E. (1961) Encounters, London, Allen-Lane The Penguin Press; trad. it.
  • Espressione e Identità, Milano, Mondadori, 1979.
  • Hardy, M.T., (1989) Girls, science and gender bias in instructional materials, Occasional
  • Papers on Aspects of Primary Education. Notthingam School of Education, University of Notthingam.
  • Lobban, G. (1975) Sex role in reading schemes, Educational Review, 27, pp. 202-210.

 

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