Emozioni digitali
Emozioni digitali
A cura della dott.ssa Francesca Di Tullio
Definire l’emozione con un termine è molto difficile.
La parola emozione deriva dal latino: “emovus”, che significa “muovere”, “allontanare”. La sensazione di essere mossi da ciò che si prova, e che sembra provenire dal nostro interno, è una caratteristica fondamentale dell’esperienza emotiva.
William James, nel 1980, affermava che “la definizione delle emozioni non dovesse essere cercata nel linguaggio ma bensì che le emozioni fossero le percezioni degli stati corporei“.
Come sono possibili un numero infinito di tali percezioni, vi è infatti un numero illimitato di emozioni che verranno descritte nelle modalità più differenti.
Oatley designa le emozioni come: “stati mentali dotati di funzioni psicologiche coerenti e risultano riconoscibili secondo criteri empirici e teorici”. La componente esperienziale soggettiva può essere analizzata secondo diversi aspetti: l’intenzionalità ,ad esempio, ci dice che l’esperienza emotiva è sempre legata a qualcosa che si è esperito. Mentre la componente emotiva sottende che ci sia la distinzione tra sé e gli altri.
Le diverse componenti delle emozioni sono correlate tra loro da complessi rapporti di interdipendenza. Il riconoscimento delle espressioni facciali è centrale per la formazione delle relazioni sociali.
Detto ciò pensiamo ad oggi. Pensiamo ai ragazzi, ai nativi digitali, a noi adulti, pensiamo al computer, allo smartphone e all’uso che ne facciamo. Siamo in continuo e costante contatto con una o più persone. Siamo connessi di giorno e di notte tutti con tutti. Scriviamo messaggi, postiamo foto, scriviamo e leggiamo qualsiasi informazione troviamo nelle rete. Non siamo mai soli. Anche alle tre di notte, se ci svegliamo, c’è qualcuno con il quale poter avere uno scambio di idee, di opinioni.
C’è sempre qualcuno nel popolo digitale che è connesso, che ci sta dicendo qualcosa. Ma questo qualcosa lo sentiamo? Ne abbiamo esperienza? Proviamo emozioni quando riceviamo un messaggio? Certo che le proviamo. Ma come le proviamo? Come le esprimiamo in digitale?
Un esempio di emozioni digitali sono le emoticon.
🙁 Faccina triste per la tristezza, 🙂 faccina sorridente per la felicità.
Ma lo smile rispecchia realmente la nostra emozione?
Nel momento in cui si è di fronte al computer non si vede l’emozione dell’altro, si vede la propria emozione proiettata sull’altro e questo fa si che ci sia una digitalizzazione. Questo bisogno di postare, di essere sempre connessi, di esprimere un’emozione provata, sottende una non capacità di stare soli e quindi una necessità di fare esperienze con altre persone.
Ma le esperienze in ambito digitale sono realmente esperienze vissute che fanno sì che ne rimanga traccia in noi? Traiamo apprendimenti da un esperienza fatta in digitale?
Quando ci si trova di fronte ad un computer, mille stimoli arrivano ai nostri sensi. I più stimolati sono la vista e l’udito, ma il resto? Il tatto? L’olfatto? Il gusto?
“Se ti chiedessi sull’arte probabilmente mi citeresti tutti i libri di arte mai scritti… Michelangelo. Sai tante cose su di lui: le sue opere, le aspirazioni politiche, lui e il papa, le sue tendenze sessuali, tutto quanto vero? Ma scommetto che non sai dirmi che odore c’è nella Cappella Sistina. Non sei mai stato lì con la testa rivolta verso quel bellissimo soffitto… mai visto”, (tratto dal film Will Hunting – Genio ribelle).
Per Reisenzein le emozioni rappresentano una risposta complessa definita come: “sindrome reattiva multidimensionale “. Ciò significa che in esse si possono individuare diverse componenti: dalle risposte fisiologiche derivate dall’attivazione del sistema nervoso centrale, del sistema nervoso autonomo e del sistema endocrino, come ad esempio l’accelerazione o la diminuzione dei battiti del cuore, la salivazione aumentata, la dilatazione pupillare, la tensione o rilassamento del nostro corpo fino alle risposte motorie come il mordere, il graffiare, lo scappare. Oltre a queste abbiamo anche risposte espressive quali la mimica facciale, la gestualità e le vocalizzazioni.
Queste risposte sono mediate dal corpo che ne fa esperienza. Una carezza genera un attivazione sensoriale che si sviluppa in tutto il corpo, così come un ricordo o una sgridata da parte di un genitore.
Le emozioni si provano con tutto il corpo, non solo con la testa. Come si fa quindi ad esperire qualcosa solo con la testa, mentre il resto del corpo è fermo su una sedia davanti ad un pc? L ’altro non è fisicamente di fronte a noi, non lo si vede, non lo si sente. È un esperienza, ma diversa. Sono cambiate le emozioni o è solo cambiato il modo di viverle?
Ci troviamo di fronte un mondo diverso, evoluto, dove le esperienze si fanno sempre meno, dove i ragazzi parlano sempre meno tra di loro e con i propri genitori, dove imporre regole alle volte è difficile.
Un adolescente davanti ad un pc si sente onnipotente. Egli si sente libero di fare qualsiasi cosa e nel momento in cui qualcosa non va per il verso giusto, ad esempio una conversazione con una coetanea per la quale si prova interesse oppure una discussione tra amici, basta cliccare un pulsante e puff, il mondo si chiude. Non c’è più l’imbarazzo di un rifiuto o la ricerca della strategia per tirarsi fuori da una discussione.
Il computer è uno strumento importantissimo e come tale bisogna conoscerlo e usarlo nei dovuti modi. Pesino i bambini più piccoli sanno farsi un selfie. Ma bisogna stare attenti e riflettere.
Cosa racchiude quel selfie? Un esibizione narcisistica di Sè o una semplice foto ricordo?
La nostra vita è permeata dalle emozioni, ci permettono di fare esperienza, che la si provi sul proprio corpo.
Esse non possono manifestarsi in assenza di specifiche modificazioni sociali, ed oggi in una società in continua evoluzione si rischia di non saper più riconoscere un emozione. Viviamo una società frenetica, dove a volte l’apparenza e la materia contano più della sostanza e la persona viene messa in disparte. Si può essere vicini ma distanti. La realtà digitale e quella che si vive non sempre coincidono. Basta pensare che spesso per parlare in casa da una stanza all’altra si usa il telefono, come se si stesse troppo lontani per poter comunicare faccia a faccia, e per esprimere uno stato d’animo si ricorre a un emoticon.
Sempre più spesso si sente parlare di patologia, di ragazzi soli, di esperienze non fatte e di emozioni non provate. Ma questo perché è la società che ce lo impone, o siamo noi a voler scappare da una realtà che spesso non riusciamo a gestire?
Bibliografia
- Oatley K., (1992), Psicologia delle emozioni, traduzione italiana a cura di Rosanna Carrera, Susanna Falchero, Mariagrazia Monaci, Bologna, Il Mulino
- Reisenzein R., (1983), The Schachter theory of emotion: Two decades later, in “Psychologycal Bullettin”, n. 94, pp. 239-264
- Alcune parti del presente articolo sono tratte dalla Tesi di Laurea della Dott.ssa Francesca Mura la cui introduzione è visibile a questo link